Le aziende che innovano tanto e subito sono più competitive, aumentano la loro produttività, accedono a nuovi mercati e di conseguenza possono assumere di più.
Le imprese con ritardi tecnologici si trovano davanti molte difficoltà e vedono la fine di alcuni lavori tradizionali, portando spesso i lavoratori a perdere la loro posizione.
Il primo passo è spingere le imprese verso l’innovazione tecnologica e la cultura del digitale, attraverso misure di incentivi e di sensibilizzazione sull’importanza dell’innovazione. Il piano Industria 4.0, con i Digital Innovation Hub ad esempio, aiuta le aziende ad intraprendere questa strada. Un lavoro che deve avere l’obiettivo di colmare il divario che c’è tra chi ha già raccolto la sfida dell’innovazione e la maggioranza del sistema, che ancora non ha considerato l’importanza dello sviluppo tecnologico anche nei settori tradizionali e che rischia per questo di uscire dal mercato. Per questo la dotazione da parte delle imprese di competenze e di strumenti digitali rappresenta uno snodo fondamentale.
Le evoluzioni tecnologiche, nel lungo periodo, creano maggior benessere per le persone, ma nell’immediato creano vincitori e vinti, rischiando di svilire le condizioni di vita dei lavoratori. Qualsiasi macro invenzione che ha impattato sull’economia ha avuto bisogno di tempo per produrre risultati tangibili.
Per evitare una simile deriva, è importante porre particolare attenzione alle istanze provenienti dai settori produttivi e ai bisogni alimentati dalle nuove tecnologie, promuovendo formule contrattuali che offrano una cornice in grado di sostenere un sistema produttivo in trasformazione, coniugando il rapporto di lavoro con relazioni contrattuali in grado di salvaguardare il ruolo e le condizioni sociali del lavoratore. Occorre innovare, e adeguare alle mutate condizioni e ai vincoli finanziari, i temi della previdenza, della cittadinanza sociale, delle politiche attive e passive, nonché della regolazione del lavoro, dell’istruzione e della formazione, guardando alle future figure professionali.
Non possiamo tollerare sfruttamenti e distorsioni in tipologie di lavoro, autonome o dipendenti, che rischiano di lasciare senza protezione sociale e rendere difficili le prospettive previdenziali di attuali e futuri lavoratori.
È il caso della gig economy - modello economico sempre più diffuso dove non esistono più le prestazioni lavorative continuative ma si lavora sempre di più on demand - che ha generato, a fronte di nuovi positivi servizi offerti, la necessità di sostenibilità sociale del lavoro connesso a queste piattaforme. Sarebbe fondamentale anche considerare una responsabilità etica delle piattaforme di sharing, che aiuti a garantire giuste condizioni di salario, sicurezza, welfare e vita sociale dei lavoratori.
Il riassorbimento di posti di lavoro “distrutti” dall’innovazione tecnologica è un processo difficile e complesso. Sarà necessario intervenire con politiche attive e di formazione in grado di non lasciare nessuno indietro, cambiando profondamente l’attuale paradigma della formazione professionale. Le persone non si formano più fino ad un certo periodo della loro vita, ma entrano in un imprescindibile percorso di lifelong learning mirato ad avere sempre le competenze necessarie per un mondo del lavoro straordinariamente dinamico. In questa irreversibile trasformazione a cui stiamo assistendo, la tecnologia può essere un’alleata. I corsi di formazione erogati online danno l’opportunità di raggiungere platee molto ampie, pur senza sostituire del tutto la formazione in presenza, ma rappresentando uno strumento essenziale per l’aggiornamento professionale e per la diffusione di competenze di base.
Di qui la necessità di un’azione organica in grado di assicurare a tutti servizi di riqualificazione delle competenze, anticipando i fabbisogni professionali e orientando la formazione sia di chi già lavora sia di chi è all’inizio del suo percorso di istruzione, in ottica complementare alla promozione degli investimenti tecnologici e all’aumento della ricerca di base e applicata.
La relazione tra conoscenza e lavoro risulta in questo senso decisiva. Solo puntando fortemente sul capitale umano riusciremo a vincere la sfida dell'innovazione tecnologica. Favorire la relazione tra conoscenza e lavoro significa anche guardare e anticipare il cambiamento attraverso una forte azione di orientamento e un'armonizzazione che contempli specificità di studio più vicine al lavoro che cambia. Bisogna implementare i percorsi di studio con tutte quelle competenze, a partire da quelle digitali, necessarie ai giovani per essere preparati al nuovo lavoro e alle conseguenti nuove figure professionali.
Il processo di armonizzazione tra sapere e lavoro passa anche sicuramente dal miglioramento e dal rafforzamento dell'alternanza scuola lavoro. Da un lato bisogna aumentare le risorse economiche necessarie ad espandere l'alternanza a più studenti possibile, dall’altro bisogna creare la cultura e gli strumenti necessari affinché le aziende sposino l'importanza del progetto, partecipino in numero elevato e permettano di creare numerosi percorsi di vera alternanza, in grado di preparare gli studenti al mondo del lavoro. Un processo che deve interessare non solo la scuola ma anche l'Università e la ricerca, favorendo innanzitutto un contatto diretto tra studenti universitari ed imprese. E’ una sfida decisiva che deve coinvolgere le istituzioni scolastiche e universitarie, oltre a tutte le parti sociali chiamate in causa.